“La stra l’è silensiuşa, ummò deşèrta,
gh’è in gir nænca un grì-grì,
pö, cul fìu-fìu dla carèta,
sidél, fagòt, la caplina int i cavì,
un ciciarà sut vuş me ‘na preghiera
la riva le: la lavandéra”
( Peppino Casali)
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La “lavandéra”
(lavandaia). Uno dei mestieri più
antichi, faticosi e allo stesso
tempo ricchi di romantico fascino
che hanno caratterizzato la nostra
bella città, ne hanno alimentato la
leggenda, l’hanno arricchita di
dignità. Le lavandaie, in “riga”
come soldatini, ognuna al proprio
posto, con gli “attrezzi del
mestiere” ben piazzati, ore e
ore piegate a sciacquare e
risciacquare nell’acqua corrente di
Ticino i “panni” che i “paveş
d’in sü”, ancora non provvisti
di comodi mezzi autonomi (lavatrici
elettriche), procuravano loro
settimanalmente.
Corre obbligo porgere a
Stefano Schinelli,
Presidente del Comitato “MéiStoInBurgh”,
sinceri ringraziamenti per avere
fornito al Circolo fotografie,
“scagn” e “carèta” con cui è stato
possibile attrezzare una zona della
sala a ricordo di un mondo lontano. |
Durante la cena, sempre all’altezza
della situazione a livello di
qualità e di scelta dei piatti
proposti, il socio Giovanni
Demartini, “cerimoniere” per
l’occasione, detta i tempi della
serata che vede alternarsi Fabrizio
Lana nella lettura di una poesia di
Peppino Casali dedicata alla
lavandaia a Attilio Rigamonti che
racconta simpatici aneddoti legati
alla “linguaccia” del Borgobasso e
all’ultima lavandaia ancora in vita,
Maria Luisa Lanati, che serviva
molti “cittadini”; tra questi viene
ricordato Vigoni, il pasticciere di
via Strada Nuova, che, a ogni
consegna di panni puliti, omaggiava
con una meringa la piccola figlia
della “lavandéra”, la nostra socia
Aradori Margherita.
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La serata prosegue con la
proiezione di fotografie che
raffigurano diversi momenti della
vita delle lavandaie: chine sul loro
“scagn” o impegnate a spingere la
“carèta” o a strizzare i panni nel “torc”.
L’artefice di queste foto è
Gianni Cattagni,
appassionato “costruttore” di
filmati riguardanti Pavia, quella
che conosciamo e quella che pochi
delle generazioni più giovani non
hanno avuto la possibilità di
vivere. Insieme, Gianni Cattagni e
Fabrizio Lana interpretano una
vivace intervista di una lavandaia
dei tempi che furono che risponde
alle domande alternando le due
lingue di sua conoscenza, l’italiano
e il dialetto. Al termine Fabrizio
Lana recita una poesia poco
conosciuta che la poetessa Ada Negri
dedicò alla lavandaia del Borgo. La
proiezione delle fotografie e la
lettura delle poesie sono
accompagnate dalle musiche, scelte
per l’occasione dal maestro e socio
Giovanni Siro Mocchi, che, alla
tastiera, fornisce la giusta
atmosfera con la sua sensibilità,
unica e inimitabile.
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